lunedì 9 maggio 2016

Cinque regole per l'uso della Rete
Net-etiquette di tre alunni
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     1. Controllare la divulgazione di dati personali e sensibili, sulla propria persona e sugli altri, rispettando consenso e informativa.

     2. Prima di pubblicare qualsiasi cosa verificarne il contenuto, che sia chiaro, corretto e capibile a ogni persona.

    3. Prima di scaricare o copiare immagini verificare i diritti di divulgazione e la fonti.

   4. Prestare attenzione al tipo di commenti: chi commenta può dare pareri critici o 
favorevoli senza insultare chi ha postato.

5  5. Rispettare i criteri di iscrizione e accesso ai vari social network  (es: età)
Benvenuti nel selvaggio Web
Regole di  sopravvivenza

Il 30 aprile 1986 per la prima volta l'Italia di è connessa a Internet  dando inizio a una nuova era; per ricordare questa svolta pionieristica, abbiamo dedicato il 29 aprile alla riflessione sull'uso della Rete. 
Ecco qualche accorgimento emerso dal lavoro in piccolo gruppo.


LE 5 REGOLE DEL WEB (di tre alunni)

1) Gestione Privacy:
Quando pubblichi qualcosa è essenziale non rivelare dati sensibili (malattie, religione…) e dati personali (nome, cognome, indirizzo…) tuoi e altrui.

2)Copyright e Copyleft:
Bisogna sempre stare attenti a non utilizzare contenuti con diritti di utilizzo o che non sono di pubblico dominio.

3)Remix:
Quando si copia un testo, bisogna stare attenti a riformulare la frase in modo che non sia tale e al testo d’origine.

4) Caratteristiche Era Digitale:
Si deve  tener conto che quello viene in rete è persistente, ricercabile e replicabile, e non si può mai sapere chi è esattamente il nostro pubblico.

5) Troll del Web:
E’ possibile che quando pubblichi qualcosa sulla Rete ti possono arrivare commenti negativi o violenti da parte di troll, cioè persone che credono di offendere e poi scamparla, ma non è vero.

In questi casi è opportuno segnalare il problema alla polizia postale o ad un adulto.





domenica 8 maggio 2016

Racconta un episodio della tua storia che possa farci capire le ragioni del nome pellerossa che ti sei scelto.
Come nome indiano ho scelto "Soffio di Vento" perché, fin da quando ero piccola, mi piace stare in un grande spazio all’aperto, come una spiaggia o un prato, in cui poter correre e saltare liberamente: mi fa sentire felice.
A questo proposito ricordo che una mattina di luglio di otto anni fa mi trovavo al mare in Toscana. Era una giornata soleggiata ma la gente al mare era poca, così la spiaggia, che già era molto spaziosa, sembrava ancora più grande. Eravamo solo io, mia mamma e mio fratello perché quel giorno mio papà era rimasto in casa per svolgere del lavoro.
Mia mamma disse a me e a mio fratello di metterci a giocare vicino a lei in modo che potesse controllarci. Così, mentre lei era sdraiata a leggere noi ci mettemmo dietro al suo lettino in una zona all’ombra a giocare con la sabbia. Mio fratello era piccolo, quindi toccava a me andare a prendere l’acqua sulla riva del mare con il secchiello. Stare sul bagnasciuga era bellissimo perché riuscivo a vedere lontanissimo, la spiaggia sembrava non finire mai. Mentre fantasticavo cominciai, senza accorgermi, ad incamminarmi guardando le onde che facevano la schiuma quando colpivano i miei piedi. Cominciai a correre giocando con le onde. Mia mamma che aveva visto che andavo e tornavo dal mare all’ombrellone senza problemi si era concentrata sull’articolo che stava leggendo. Dopo pochi minuti mi ero già allontanata molto! Mia mamma si accorse solo in quel momento che non ero tornata all’ombrellone.
Allora si alzò di scatto, chiese a mio fratello dove fossi andata e lui indicò il mare. Lei cominciò a gridare il mio nome verso destra e verso sinistra ma io non rispondevo. Cominciò a preoccuparsi moltissimo. Poi finalmente mi vide in lontananza a mano di una signora anziana che mi stava accompagnando al mio ombrellone. Quando ci raggiunse, la signora le raccontò di avermi notata perché ero una bambina piccola che correva e saltava con allegria, ma essendo tutta sola, aveva intuito che potevo essermi allontanata troppo dal mio ombrellone.

Mia mamma raccontò l’episodio a mio papà e il giorno dopo mi misero alla prova. Andammo tutti insieme a fare una lunga passeggiata sulla spiaggia. Appena cominciammo a tornare indietro io iniziai di nuovo a correre, libera e felice. Mia mamma tenendo per mano mio fratello piccolo camminava lentamente, mio papà invece mi inseguiva senza farsi vedere da me. Alla fine anche se avevo solo quattro anni riuscii a tornare senza problemi al nostro ombrellone e mio papà mi disse: “Sei uno spirito libero, per fortuna hai senso dell’orientamento!”.    

IL MIO NOME IN INDIANO
Il mio nome indiano potrebbe essere Kaya ovvero sorella maggiore.
Da bambine, una sorella può essere una compagna di giochi sempre pronta. Da adolescenti, una consigliera che vive sotto il tuo stesso tetto. Da madri, una baby sitter sempre disponibile e da vecchie, una persona che non s'annoierà ad ascoltare tutte le storie sui " BEI VECCHI TEMPI ".
Avevo cinque anni. Andavo ancora all'asilo e vedevo ogni volta i miei compagni con i fratellini piccoli che giocavano allegramente.
Tornando a casa mi sentivo un po' sola, quindi chiesi a mia madre di avere una "Fratellina".
Il mio sogno si realizzò a Natale e fu il giorno più bello della mia vita.
Prima mia sorella ed io eravamo molto legate, ma adesso siamo come cane e gatto.
Quando lei combina marachelle, spesso la colpa ricade su di me perché sono più grande e quindi ho più responsabilità.

Ho scelto questo nome perché, visto che adoro i bambini piccoli e mia sorella, mi fa sentire una baby mamma.

giovedì 28 aprile 2016

Immagine realizzata dall'autore del post

LE ORIGINI DEL MIO NOME

Il nome è un riconoscimento che viene dato a tutte le persone nate e rappresenta un augurio che ci viene donato dai nostri genitori. Esprime spesso le qualità di una persona.
Poi il nome ci accompagnerà per tutta la vita e verrà usato per chiamarci  o identificarci; a volte ha delle varianti, cioè dei soprannomi.
I miei genitori speravano di aspettare una bambina, perché i nomi da femmina belli tra cui scegliere erano molti.
Quando hanno scoperto di aspettare me, un bel maschietto, non sapevano quale nome darmi perché il loro nome preferito, Davide, lo avevano già usato per mio fratello maggiore.
Il loro nome preferito da femmina era Aurora, che però non ha nessun corrispondente nella forma maschile.
Mia mamma ha avuto la brillante idea di cercare il nome tra quelli dei giocatori di calcio della squadra preferita di mio papà: l’Inter.
E così la scelta è caduta su uno dei giocatori migliori di quella squadra,  anche se mio papà non ne era completamente sicuro.
Mia mamma però mentre io crescevo nella sua pancia continuava a riferirsi a me con il nome immaginato e quindi, senza rendersene conto, quello era già diventato mio.

L’unica differenza è che nel mio nome c’è una lettera in più: mia mamma ha preferito così e io ci tengo a ribadirlo con le persone nuove, mi contraddistingue!
Foto realizzata dall'autrice del pezzo
A scuola stiamo ragionando e immaginando per cercare di indagarci e conoscerci; abbiamo incominciato col giocare con il nostro nome.

IL MIO NOME INDIANO: MANI DI BURRO

Mani di burro è un nome che per i pellerossa potrebbe significare mani morbide, delicate e lisce… ma questo non è proprio il mio caso.
Ho scelto questo nome perché è da 12 anni, avete capito bene 12, che tutte le volte che prendo qualcosa in mano mi cade rovinosamente magari provocando qualche danno.
Non conto più le volte che ho rovesciato l’acqua a tavola o il latte a colazione, gli oggetti che ho perso per strada o il telecomando che fa salti da acrobata mentre tento di salvarlo. Una volta ho persino rovesciato un’intera zuccheriera su un tappeto pelosissimo.
Memorabile fu quella volta che la mamma, con le mani occupate da borse e sacchetti, mi chiese di portare  fino alla macchina i dolcetti che mia zia aveva preparato apposta per noi. Il tragitto era breve, 30m circa… ce la potevo fare. In effetti raggiunsi la macchina senza problemi ma, quando allungai la mano per aprire la portiera, il piatto, non so come,  si capovolse. “Piovono dolcetti!!!” gridò mia sorella.

Questa è la prova che non c’è rimedio al problema.

domenica 17 aprile 2016

PAROLE E GENTILEZZA
riflessioni di un alunno

L’essere umano utilizza il corpo e le parole per comunicare; ma quante parole diciamo ogni giorno? Tra scritto e orale il conteggio potrebbe dare risultati sbalorditivi….riflettiamo su ciò che diciamo e su come lo facciamo.

Le Parole sono un complesso di suoni con cui viene espressa un’idea, che, però, deve avere un senso compiuto. Noi usiamo molto, o anche troppo,  le parole.   Possiamo usarle con gentilezza, che è come una medicina, quando la usi stai meglio: ti senti felice tu e si vedono gli altri sereni.
Grazie anche all’intervento della Dott.ssa Bianchi, specializzata in psicologia, abbiamo approfondito due argomenti attuali: l’ uso delle parole e delle chat.
Riflettete bene, non vi siete mai trovati in una situazione dove avete avuto la tentazione di offendere per vari motivi un vostro compagno o compagna. Prima di procedere con l'intento dovete però mettervi nei loro panni. Voi al loro posto come vi  sentireste, bene? Non penso! Purtroppo non tutti sanno essere riflessivi finendo col non badare ai sentimenti altrui e offendendo anche senza nessun pudore; questi vengono chiamati “bulli”.
Sapete che questi, potranno esser forti dentro, ma in realtà sono deboli perché se fossero forti dentro e sicuri di se stessi, che bisogno avrebbero di insultare, offendere ed emarginare ragazzi inutilmente? 
Tuttavia in realtà non è solo il singolo individuo a esser debole, ma anche chi lo segue; il gruppo che mentre il bullo esegue, lo guarda o addirittura si mette a ridere.                           
Ci vuole rispetto! Il rispetto è un concetto molto difficile da spiegare, dato che è astratto. Posso fare un quadro complessivo con le mie capacità. Per me il rispetto è un dono, che tutti si meritano; è anche questione di educazione.
Ricordate che un gesto di gentilezza vale di più di tante parole. Basta anche un piccolo gesto quotidiano: aiutare compagni in difficoltà, regalare un sorriso a persone tristi, aiutare persone anziane. Questi sono tutti piccoli gesti che non ritengono sforzi eccessivi, ma solo la vostra volontà di esser gentili.
Per rafforzare il nostro tasso di gentilezza con la psicologa abbiamo fatto un gioco. Consisteva nel scrivere su un bigliettino i pregi di un compagno o compagna e darglielo in forma anonima. La mia classe ed io ci siamo sentiti molto bene perché abbiamo capito quanto ognuno di noi è importante per la classe,  in modo positivo. Ci siamo sentiti speciali e importanti l'uno per l'altro.